Pedinamento

Lo aspettò per tutta la mattina, prima di vederlo uscire dal portone di casa. Si era appostata di fronte, appoggiata a un’auto rossa, sin dalle sette e mezza; sperava di incontrarlo a quell’ora, quando lui scendeva a comprare i giornali. Lo aveva sempre fatto, o perlomeno era quello che lei ricordava: ogni giorno, appena sveglio, si vestiva in fretta, con gli abiti della sera prima e scendeva le scale a piedi, cercando di non fare rumore. Camminava fino al chiosco dell’angolo, quello accanto alla fontana, gestito da due anziane sorelle, identiche, anche se non erano gemelle. Lo dicevano sempre, – Non siamo gemelle -, e lui sorrideva, – Davvero? -, chiedeva, fingendo stupore. – Eppure vi assomigliate così tanto! -, e loro erano felici, socchiudevano gli occhi, tagliati orizzontalmente a metà dalle lenti progressive. – Ci è avanzato questo supplemento della Repubblica: lo vuole, dottore? -, gli mormoravano, come fosse stato un segreto, e lui qualche volta accettava, ma solo perché gli dispiaceva deluderle. Quando rientrava, lo sventolava davanti alla faccia di lei, – Le sorelle mi hanno fatto un regalo -, le annunciava, – Non sei gelosa? -, rideva, si sedeva sul letto e le leggeva ad alta voce i titoli in prima pagina, mentre lei mugugnava che era troppo presto, che voleva dormire ancora.

Stavano insieme da cinque anni, ma lei era sposata con un altro, e lui, il giovane dottore, era innamorato di lei; – Se non avessi già un marito, mi diresti di sì? -, le domandava, e lei si oscurava, – Non si dice mai di sì, a nessuno -, replicava lei, e diventava silenziosa, ostile. – Non essere maligna -, ribatteva lui, – Perché poi non ci vedremo per dieci giorni, e l’ultima cosa che avremo fatto sarà stata litigare -, protestava. A lei non importava: detestava le domande e, ancora di più, odiava dover rispondere sì o no, perché i circuiti chiusi le procuravano le vertigini; avrebbe preferito una scelta più temperata, o la possibilità di ripensarci, di cambiare idea senza dover pagare una penale. Ma lui, il giovane dottore, non capiva; aveva otto anni meno di lei, leggeva i giornali come fossero oracoli e credeva nelle manifestazioni di piazza, negli scioperi, nella necessità di un cambiamento. – Per esempio, un giorno potrai divorziare, e noi potremo stare insieme! -, le prospettava, ogni tanto, e lei scuoteva la testa, – Tra poco la penserai diversamente -, gli rispondeva, e lui non capiva, pensava fosse una reticenza, si sentiva amato. Si sbagliava.

Da allora, era passato molto tempo: lei aveva settantacinque anni, adesso, era madre e vedova, non sopportava di essere chiamata nonna. – Chiamatemi Lucia -, suggeriva ai nipoti, e sua figlia tollerava male queste sue stravaganze, talvolta la evitava. – Sei vecchia, ma non crescerai mai -, le sibilava, e lei, Lucia, lo sapeva e in fondo ne era felice. Aveva un solo cruccio: la solitudine, che le era calata sulla testa poco alla volta, come un soffitto che cede piano piano e poi crolla, ti lascia con un buco nel tetto e senza casa. Era iniziato tutto dopo la fine della storia col giovane dottore, appena superata la soglia dei quarant’anni; la gente aveva smesso di guardarla, di dirle che era bella, di felicitarsi con lei per il suo solo essere al mondo. E lei si era rattristata, poi si era disperata, aveva cercato di tornare quella che era stata e non vi era riuscita; a quel punto si era inviperita, aveva deciso che se gli altri non la guardavano, in quel momento stesso smettevano di esistere. Si era immaginata una vita solitaria, e non aveva dovuto mettersi d’impegno per comprendere che era già sola, che gli altri se n’erano andati come rondini alla fine dell’estate. L’autunno era già iniziato da un pezzo.

Quando decise di appostarsi di fronte al portone di casa del giovane dottore, invece, era pieno inverno anche per lui; era il 2021, lei aveva smesso di tingersi i capelli e si era arresa agli occhiali da miope. Si erano persi di vista da molto, non era nemmeno più sicura che lui si ricordasse di lei, così cercò il suo indirizzo e aspettò di incrociarlo. Lo riconobbe subito; lo vide uscire verso mezzogiorno, rientrare prima dell’ora di pranzo. Tornò l’indomani, ne sorvegliò i movimenti, addomesticò le sue abitudini, imparò a riconoscere le persone che lo accompagnavano; c’era una donna bionda, piccola: di sicuro era sua moglie. Pensò a quanto fosse diversa da com’era lei, negli anni in cui entrambi infrangevano il suo matrimonio, al riparo di un appartamento minuscolo, al quarto piano di un palazzo senza ascensore, la prima casa da scapolo del giovane dottore. – Ha amato me e ha sposato un’altra -, proferì, poi si morse l’interno delle guance, – Ti stai sbagliando di nuovo, cara mia -, si rimproverò, e riprese ad aspettare. Dopo poche settimane, vederlo entrare e uscire iniziò a non bastarle; voleva sapere di più, voleva guardare meglio, così iniziò a seguirlo. Erano pedinamenti goffi, i suoi, ogni tanto lo perdeva tra la gente, si scoraggiava, tornava ad attenderlo sotto casa. Dalla strada, cercava di capire quale fosse la sua finestra, provava a immaginarne la vita domestica e si sforzava di ricordarsi a cosa assomigliasse la loro, anche se era stata soltanto uno strappo, una toppa cucita male, di sghembo, destinata a non resistere a lungo.

Una volta, nell’andargli dietro, si ritrovò così vicina alla sua spalla che lui si voltò, allora lei chinò il capo, si affrettò a cercare qualcosa nella borsa; – Non mi ha riconosciuta -, pensò, ed era vero, lui non aveva sovrapposto il suo viso di adesso a quello della sua memoria. Ci rimase male; – Debbo parlargli -, si ripromise, ma le mancava il coraggio, così continuò a ricalcare maldestramente i suoi passi, a memorizzare la mappa dei suoi percorsi. Imparò l’indirizzo del barbiere, quello del giornalaio e quello della banca, immaginò la sue rete di amici, di famigliari, di colleghi di lavoro. Venne a sapere che andava a mangiare una pizza con sua moglie ogni giovedì, e che il venerdì pomeriggio aveva un appuntamento fisso in uno studio dentistico.

Era una mattina di giugno, quando lui si fermò all’improvviso; lei l’aveva atteso di fronte al suo portone, come tutti i giorni, ne aveva spiato i movimenti. Era pronta a svoltare a destra per accompagnarlo, non vista, a comprare i quotidiani, ma lui attraversò la strada, accelerò il passo, le andò incontro. – Lei mi sta pedinando -, le disse, calmo. – Mi sta seguendo da mesi: mi dica cosa vuole -. La sua voce era ferma, arrochita, non c’erano più tracce del giovane dottore, in quel timbro velato, e Lucia se ne dispiacque. – Allora, cosa vuole? -, insistette, e non si mosse dal centro della strada: era presto, passavano rare auto. Una bicicletta li sfiorò, lei trattenne il fiato.

– Sono Lucia -, mormorò, e anche la sua voce divenne opaca, rappresa in un rantolo senile. – Volevo guardarti: siamo stati insieme per cinque anni, ma mi hai guardata solo tu -. Fece una pausa, si sistemò le lenti sul naso. – Ed era tanto tempo che mi chiedevo di che colore avevi gli occhi -.